Documentazione convegno AIDIA – IngegnerA o AchitettA: è solo questione di declinazione?

Data:
23 Dicembre 2021

IngegnerA o AchitettA: è solo questione di declinazione?

È questo il titolo del convegno nazionale di AIDIA che si è tenuto a Bologna lo scorso 10 dicembre 2021.

AIDIA – Associazione Italiana Donne Ingegnere e Architetti –  fa conoscere il lavoro delle professioniste e promuove la creazione di una rete nazionale ed internazionale di relazioni utili al confronto di idee ed esperienze per migliorare le competenze tecniche delle associate e fornire alla società un contributo qualitativo.

Il convegno ha previsto la partecipazione di docenti e professioniste che hanno trattato diversi temi: la rappresentazione delle donne attraverso il linguaggio che costituisce ormai da molti anni un argomento di riflessione per la comunità scientifica internazionale, il gender pay gap, la scarsa valorizzazione delle donne della scienza e dei settori dell’ingegneria e dell’architettura.

A partire dal lavoro “Il sessismo nella lingua italiana” di Alma Sabatini, sono numerosi gli studi in Italia che hanno messo in evidenza come la figura femminile venga spesso svilita dall’uso di un linguaggio stereotipato che ne dà un’immagine negativa o quanto meno subalterna rispetto all’uomo. In italiano e in tutte le lingue che distinguono il genere grammaticale maschile e quello femminile, la donna risulta spesso nascosta “dentro” il genere grammaticale maschile, che viene usato in riferimento a donne e uomini. Questo il tema principale illustrato dalla professoressa Cecilia Robustelli durante il suo intervento.

Forti richiami a rivedere questa tradizione androcentrica sono arrivati da diversi settori della società, fra cui l’ingegneria e l’architettura. C’è ancora una forte diffidenza verso questo atteggiamento linguistico accompagnata all’incertezza di fronte all’uso di forme femminili nuove rispetto a quelle tradizionali maschili (è il caso di ingegnera).

La consigliera CNI Ing. Ania Lopez, durante il suo intervento, ha specificato che solo in Italia c’è questa resistenza nell’accettare il femminile di “Ingegnere” per ragioni che sono celatamente di tipo culturale e, al tempo stesso, linguistiche. L’architettura come l’ingegneria è sempre stata una roccaforte maschile, tutt’al più aperta a qualche arredatrice e decoratrice. Si conoscono “i padri” che hanno fatto la storia, ma mai “le madri”.

Clamoroso è l’esempio trattato dalla professoressa Maria Beatrice Bettazzi, nel suo intervento relativo a Charlotte Perriand: come per tante altre donne progettiste il suo nome è collegato a quello di un uomo, quello dell’architetto Le Corbusier.

Diversi sono gli episodi degni di narrazione: quando la ventiquattrenne Charlotte Perriand entra nello studio di Le Corbusier in rue de Sèvres, 35 a Parigi nel 1927, e chiede all’architetto oramai famoso di assumerla come designer di mobili, la sua risposta è concisa: “Noi non ricamiamo cuscini qui” e le mostra la porta. Solo dopo essere stato condotto da suo cugino Pierre Jeanneret a vedere il Bar Sous le Toit, che la Perriand aveva realizzato in vetro, acciaio e alluminio per il Salon d’Automne a Parigi, Le Corbusier la invita a unirsi al suo studio. Siamo negli anni ’20 ed evidentemente Le Corbusier era ancora convinto che la donna fosse una figura subalterna alla figura maschile. Tanto più se quest’ultima è geniale e narcisista. Ma Charlotte si propone come antesignana di un certo modo di essere architetto “di sinistra”, anticipando, con la sua autonomia, il movimento femminista.

Gli anni 20 sono però passati; è ormai patrimonio conoscitivo comune che i meccanismi di assegnazione e di accordo di genere giocano un ruolo importante nello scambio comunicativo e meriterebbero di essere conosciuti anche al di fuori della cerchia accademica per fugare la convinzione, diffusa, che usare certe forme femminili rappresenti solo una moda.

La testimonianza data dall’Ing. Amalia Ercoli Finzi è stata di enorme ispirazione per tutte le socie. Alta competenza professionale unita ad una forte tenacia e a solide capacità organizzative le sono state indispensabili per gestire le missioni spaziali, suo campo d’azione privilegiato. Ha cominciato a lavorare per la NASA (National Aeronautics and Space Administration)e l’ESA (European Space Agency) diventando direttrice della Missione Rosetta (dal marzo 2004 al 2014), che è considerata uno dei suoi capolavori tecnici e scientifici più importanti. Per comprendere il valore del suo contributo scientifico occorre considerare la complessità della struttura di una sonda spaziale e in particolare il problema del consumo energetico: per navigare si utilizza un piccolo generatore nucleare o del carburante, che tuttavia occupa un considerevole spazio per via della dotazione di razzi booster contenenti il carburante o di batterie ad energia solare. Nello specifico Amalia Ercoli Finzi, è riuscita ad ottimizzare il risparmio energetico attraverso il miglioramento della propulsione assistita dalla gravità. Alla curiosità scientifica è riuscita ad unire gli affetti famigliari con organizzazione e costanza.

La prof.ssa Francesca Barigozzi ha esposto il tema del gap di genere nel mercato del lavoro. Le posizioni lavorative di gestione e supervisione sono ricoperte in larga maggioranza da uomini: nella UE, solo il 37%  dei manager, il 18% degli executives e il 5,1% degli amministratori delegati è donna, a fronte di una percentuale di donne lavoratrici del 45%.  E in Italia la situazione è peggiore di alcuni punti percentuali rispetto alla media UE. Il gender pay gap medio è del 15% e questo dato cresce fino al 23% nel caso del ruolo dei manager. Gli uomini ricevono più promozioni rispetto alle donne, in tutti i settori; di conseguenza vengono pagati di più a parità di capacità professionali e titoli di studio. Le donne si fanno carico di importanti compiti non retribuiti, quali i lavori di casa e la cura dei figli o familiari, in proporzione maggiore rispetto agli uomini. I lavoratori uomini dedicano in media 9 ore a settimana ad attività non retribuite come la cura dei figli o famigliari o i lavori di casa, mentre le lavoratrici dedicano a tali attività 22 ore, ossia circa 4 ore al giorno. Sul mercato del lavoro, tale differenza si riflette nel fatto che 1 donna su 3 riduce le ore di lavoro retribuite per richiedere un part-time, mentre solo 1 uomo su 10 fa lo stesso. Inoltre, le donne tendono a trascorrere più spesso periodi di tempo fuori dal mercato del lavoro rispetto agli uomini. Queste interruzioni di carriera influenzano non solo la loro retribuzione oraria, ma hanno anche un impatto sui loro guadagni futuri e sulla loro pensione.

Un altro tema importante affrontato riguarda la segregazione nell’istruzione e nel mercato del lavoro: in alcuni settori e occupazioni, le donne sono sovrarappresentate; in altri sono sovrarappresentati gli uomini. In alcuni paesi, alcune occupazioni sono prevalentemente svolte dalle donne, ad esempio l’insegnante o l’addetta alle vendite. Queste posizioni offrono salari inferiori rispetto a occupazioni prevalentemente svolte da uomini, a parità di livello di esperienza e qualifiche. La discriminazione retributiva, sebbene vietata, continua a contribuire al divario retributivo di genere.

Interessanti gli accenni alle possibili motivazioni psicologiche che stanno alla base di questi  fenomeni: studi di economia sperimentale evidenziano che le donne tendono ad evitare “la competizione”, che alle donne non piace “contrattare”, che sono più riluttanti ad assumersi dei rischi, sono più altruiste e collaborative e hanno una minore autostima.

Ma quale è il racconto che viene fatto ai bambini, che li porta a sognare certe professioni e certi ruoli, che invece manca alle bambine?

È proprio “fare quel racconto che manca alle bambine” l’obiettivo principale del libro presentato durante il convegno dall’Ing. Amalia Lentini: “Il mio lavoro è una favola”. Un racconto che è un mix di storie romantiche e fantastiche intrecciate con la scienza e la tecnica, declinata al femminile, per raccontare alle bambine che possono raggiungere i traguardi che desiderano.

E su questo bisogna lavorare, perché le bambine di oggi, più consapevoli delle proprie capacità, possano superare gli ostacoli e i pregiudizi ancora presenti nel nostro mondo del lavoro e più in generale nella società.

È indispensabile che alle donne siano riconosciute le capacità che hanno, che vengano loro affidati  ruoli coerenti alle capacità mostrate: devono far parte a pieno titolo del mondo lavorativo anche nelle discipline scientifiche e tecniche e partecipare ai processi decisionali del paese.

E il linguaggio è uno degli strumenti indispensabili per attuare questo processo.

Articolo a cura dell’Ing. Paola Marulli e dell’Ing. Sara Monesi

 

Allegato: IMG-20211220-WA0017.jpg